Stop and go: l’intervallo tra contratti a termine (Art. 21)
Cos’è lo “Stop and Go” e la sua Ratio (Art. 21 D.Lgs. 81/2015)
La disciplina dei contratti a tempo determinato è caratterizzata da una serie di vincoli normativi volti a bilanciare le esigenze di flessibilità delle imprese con la tutela della stabilità occupazionale del lavoratore. Tra questi, uno dei meccanismi più rilevanti è il cosiddetto “stop and go”. Questa regola impone un intervallo tra contratti a termine, ovvero un periodo minimo obbligatorio di “pausa” che deve intercorrere tra la scadenza di un contratto e la successiva riassunzione dello stesso lavoratore con un nuovo contratto a termine.
La ratio di questa norma, contenuta principalmente nell’articolo 21, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015, è chiara: evitare un uso abusivo e reiterato della contrattazione a termine. Il legislatore intende impedire che, attraverso una successione immediata di contratti, si mascheri un fabbisogno di personale stabile e duraturo, eludendo di fatto le tutele previste per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Comprendere quando e come si applica questo intervallo è fondamentale per i datori di lavoro, al fine di evitare la pesante sanzione della trasformazione del rapporto.
Indice dei Contenuti
L’intervallo tra contratti a termine: Come si calcola?
La disciplina dello “stop and go” è contenuta nell’articolo 21, comma 2, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81. Questa norma è stata introdotta per evitare che i datori di lavoro abusino della successione di contratti a termine per coprire esigenze lavorative stabili e durature, mascherandole come precarie.
Il legislatore impone un intervallo minimo obbligatorio tra la fine di un contratto a termine e la stipulazione (il “rinnovo”) di un successivo contratto a termine con lo stesso lavoratore. La durata di questo intervallo dipende dalla durata del contratto appena concluso.
Contratti fino a 6 mesi: l’intervallo di 10 giorni
Per i contratti a termine che hanno avuto una durata fino a sei mesi, la legge stabilisce che, prima di poter riassumere lo stesso lavoratore con un nuovo contratto a termine, il datore di lavoro deve attendere almeno 10 giorni di calendario.
Contratti superiori a 6 mesi: l’intervallo di 20 giorni
Se il contratto a termine precedente aveva una durata superiore a sei mesi, l’intervallo minimo obbligatorio che il datore di lavoro deve rispettare prima di un nuovo rinnovo si allunga a 20 giorni di calendario.
Box Normativo 1: Art. 21, co. 2, D.Lgs. 81/2015
“Qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.”
La sanzione: trasformazione in contratto a tempo indeterminato
La violazione di queste tempistiche non comporta una semplice sanzione amministrativa. La conseguenza prevista dalla legge è drastica e tutela direttamente il lavoratore: il mancato rispetto dei periodi di intervallo determina la trasformazione automatica del secondo contratto in un contratto a tempo indeterminato.
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La sanzione per la violazione dello “stop and go” è la trasformazione del rapporto. Ma quali sono tutti gli altri casi in cui un contratto a termine diventa indeterminato? Leggi la guida completa sulla trasformazione.
È fondamentale notare un aspetto chiarito dalla giurisprudenza: ai fini del calcolo, ciò che rileva è la data di stipulazione del nuovo contratto, non la sua data di decorrenza. Ad esempio, stipulare un nuovo contratto il giorno dopo la scadenza del primo (senza rispettare i 10/20 giorni), anche se prevede un inizio dell’attività lavorativa posticipato, fa scattare ugualmente la sanzione della trasformazione.
Schema Visivo: Calcolo dello “Stop and Go”
CASO 1: Contratto Precedente
≤ 6 MESI
Intervallo Minimo Obbligatorio
10 GIORNI
CASO 2: Contratto Precedente
> 6 MESI
Intervallo Minimo Obbligatorio
20 GIORNI
VIOLAZIONE DELL’INTERVALLO
SANZIONE: Trasformazione del 2° contratto in RAPPORTO A TEMPO INDETERMINATO
La Distinzione Fondamentale: Proroga vs. Rinnovo
Comprendere perché l’intervallo tra contratti a termine si applichi in alcuni casi e in altri no, richiede una distinzione giuridica fondamentale: quella tra proroga e rinnovo. Spesso confusi, questi due istituti hanno conseguenze legali radicalmente diverse.
La Proroga: prosecuzione dello stesso contratto
La proroga si verifica quando le parti decidono, prima della scadenza, di proseguire il rapporto di lavoro esistente. Non c’è interruzione, non c’è una nuova negoziazione: è un mero differimento del termine di scadenza. L’assetto contrattuale, le mansioni e le condizioni restano invariate. Poiché il rapporto di lavoro non si interrompe mai, la disciplina dello “stop and go” non entra in gioco.
Il Rinnovo: una nuova negoziazione (Corte di Cassazione, Ord. 26153/2024)
Il rinnovo, al contrario, implica una rinegoziazione dell’assetto negoziale. Si verifica quando un contratto a termine scade e le parti, dopo un’interruzione, decidono di stipularne uno nuovo. La giurisprudenza ha chiarito che si ha rinnovo (e non proroga) anche quando le parti modificano elementi chiave del contratto, come l’orario di lavoro (es. da part-time a full-time), le mansioni o la retribuzione, poiché ciò incide sull’identità causale del rapporto.
Box Giurisprudenziale 1: Cassazione, Ord. n. 26153/2024
La Corte di Cassazione ha stabilito che la proroga e la rinnovazione esprimono “necessariamente concetti differenti”. Con la proroga, “viene prolungata l’efficacia di un contratto in essere… mantenendone sostanzialmente intatta l’identità”. Al contrario, con la rinnovazione “la volontà delle parti non incide soltanto sulla posticipazione della scadenza, ma sulla stessa identità causale del rapporto, attraverso una rinegoziazione più o meno ampia del contratto, con carattere novativo o modificativo.”
Box Giurisprudenziale 2: Corte d’Appello Bolzano, Sent. n. 45/2021
Già la Corte d’Appello (sentenza poi confermata dalla Cass. 26153/2024) aveva stabilito che si è in presenza di un nuovo contratto (rinnovo), e non di una proroga, quando l’atto “non si limita a posticipare la data di scadenza del primo contratto, ma cambia l’orario di lavoro, la mansione e la retribuzione“. In quel caso, la trasformazione da part-time a full-time, con variazione di mansioni e retribuzione, è stata considerata una “vera e propria rinegoziazione”.
Perché lo “stop and go” si applica solo al rinnovo
La *ratio* della norma è impedire che il datore di lavoro, alla scadenza di un contratto, ne stipuli immediatamente un altro identico, creando una continuità fittizia di rapporti precari. La proroga, essendo una continuazione del medesimo rapporto (entro i limiti di durata massima previsti), non rientra in questa logica. È il rinnovo – la stipulazione di un nuovo contratto dopo un’interruzione – l’atto che la legge vuole regolamentare, imponendo un periodo di “raffreddamento” (lo “stop and go”) per scoraggiare l’abuso.
Schema Comparativo: Proroga vs. Rinnovo
| Caratteristica | PROROGA | RINNOVO |
|---|---|---|
| Natura del Contratto | È lo stesso contratto che prosegue. | È un nuovo contratto stipulato dopo la scadenza del primo. |
| Azione delle Parti | Mero differimento del termine di scadenza. | Rinegoziazione dell’assetto negoziale. |
| Interruzione | Nessuna interruzione del rapporto di lavoro. | Implica un’interruzione (anche breve) tra i due contratti. |
| Applicazione “Stop and Go” | NO | SÌ (obbligo intervallo 10/20 giorni) |
Box Giurisprudenziale: Tribunale Lecce, Sent. n. 3907/2024
La giurisprudenza ha affrontato anche casi ibridi. Il Tribunale di Lecce ha chiarito che la deroga allo “stop and go” prevista per i contratti stagionali non si applica se la successione dei contratti è stagionale/ordinario. La deroga vale solo per la sequenza stagionale/stagionale. Applicare la deroga a un contratto ordinario successivo “urterebbe con la finalità di individuare il contratto a tempo indeterminato quale ‘forma ordinaria’ di occupazione”.
Box Giurisprudenziale: Tribunale di Pavia, Sent. n. 440/2019
Un aspetto fondamentale per il calcolo dell’intervallo è il momento rilevante. Il Tribunale di Pavia ha affermato che “il divieto posto dall’art. 21, comma 2, D.Lgs 81/15 colpisce il fatto stesso della riassunzione (la stipulazione) entro l’arco di tempo ivi previsto, a nulla rilevando la decorrenza degli effetti dell’accordo”. È nullo, quindi, un contratto stipulato il giorno dopo la scadenza, anche se l’inizio del lavoro è fissato dopo 12 giorni.
Quando l’intervallo tra contratti a termine non si applica: Le Eccezioni
L’articolo 21, comma 2, del D.Lgs. 81/2015, dopo aver stabilito la regola generale degli intervalli, prevede specifiche eccezioni. In questi casi, un datore di lavoro può riassumere a termine lo stesso lavoratore senza dover attendere i 10 o 20 giorni di “stop and go”.
Eccezione 1: La somministrazione di lavoro a termine
La prima e più rilevante eccezione riguarda il lavoro in somministrazione. L’articolo 34, comma 2, del D.Lgs. 81/2015 esclude espressamente l’applicazione dell’articolo 21, comma 2 (e quindi dello “stop and go”) ai contratti a termine stipulati tra un’Agenzia per il Lavoro (somministratore) e un lavoratore.
Questo significa che un’agenzia può stipulare più contratti di somministrazione a termine in successione con lo stesso lavoratore, anche per lo stesso utilizzatore, senza rispettare alcun intervallo minimo. Attenzione però: come chiarito dal Tribunale di Lecce (Sent. 3907/2024), questa deroga vale solo per la successione di contratti di somministrazione. Non si applica se a un contratto di somministrazione segue un contratto a termine diretto con l’azienda utilizzatrice (o viceversa).
Eccezione 2: Le attività stagionali (l’impatto del Collegato Lavoro)
La seconda eccezione storica riguarda i lavoratori impiegati in attività stagionali. La ratio è evidente: in settori come il turismo o l’agricoltura, le esigenze produttive sono cicliche e concentrate, e imporre uno “stop and go” ostacolerebbe la riassunzione dello stesso personale specializzato per la stagione successiva.
La definizione di “attività stagionale” è stata per anni oggetto di contenzioso. Inizialmente, la giurisprudenza tendeva a un’interpretazione restrittiva, limitandola alle attività elencate nel D.P.R. 1525/1963. Tuttavia, il recente “Collegato Lavoro” (Legge n. 203/2024) ha introdotto una norma di interpretazione autentica (art. 11) che ha ampliato significativamente questa nozione con effetto retroattivo.
Oggi, rientrano nelle attività stagionali (e sono quindi esenti da “stop and go”) anche:
- Le attività indicate nel D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525.
- Le attività organizzate per far fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno.
- Le esigenze tecnico-produttive collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi, come individuate dai contratti collettivi.
Eccezione 3: Le deroghe previste dai contratti collettivi (CCNL)
Infine, lo stesso articolo 21, comma 2, affida alla contrattazione collettiva (nazionale, territoriale o aziendale, purché stipulata dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative) la facoltà di individuare ulteriori ipotesi in cui la regola dello “stop and go” non si applica. È quindi sempre necessario verificare cosa preveda il CCNL applicato in azienda.
Checklist delle Esclusioni dallo “Stop and Go”
Il datore di lavoro NON deve rispettare l’intervallo di 10/20 giorni se il rinnovo riguarda:
-
CONTRATTI DI SOMMINISTRAZIONE
La legge esclude esplicitamente l’applicazione dell’Art. 21, co. 2, a questa tipologia contrattuale.
-
ATTIVITÀ STAGIONALI
Sia quelle “storiche” (DPR 1525/63) sia le nuove ipotesi di “cicli stagionali” e “intensificazioni” (L. 203/2024).
-
DEROGHE DEI CCNL
Tutte le ulteriori ipotesi specifiche individuate dalla contrattazione collettiva (nazionale, territoriale o aziendale).
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Conclusioni: Gestire Correttamente la Successione dei Contratti
La gestione dell’intervallo tra contratti a termine è uno degli aspetti più delicati e sanzionati del Diritto del Lavoro. La regola dello “stop and go”, fissata dall’Art. 21 del D.Lgs. 81/2015, non è un mero formalismo, ma un presidio fondamentale contro l’abuso di contratti precari per coprire fabbisogni stabili.
Come abbiamo visto, la giurisprudenza più recente (inclusa la Cassazione) è molto rigorosa nel distinguere la proroga (mera continuazione) dal rinnovo (rinegoziazione, anche con modifiche di mansioni o orario). È solo a quest’ultimo che si applica l’obbligo di intervallo (10 o 20 giorni), la cui violazione comporta la trasformazione del rapporto in tempo indeterminato.
Conoscere a fondo le eccezioni – dalla somministrazione alle attività stagionali (come ridefinite dal Collegato Lavoro) fino alle deroghe dei CCNL – è l’unico modo per il datore di lavoro di gestire la flessibilità in modo corretto ed evitare costose sanzioni.
Domande Frequenti (FAQ)
Gestisci contratti a termine e temi sanzioni?
La disciplina dei rinnovi, delle proroghe e dello “stop and go” è complessa e le sanzioni per la violazione sono severe, portando alla trasformazione del contratto. Il nostro studio legale offre assistenza specializzata per datori di lavoro e consulenti per garantire la corretta applicazione delle norme ed evitare costosi contenziosi.
Link Utili e Riferimenti Normativi
- Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Testo Unico Contratti)
- Legge 13 dicembre 2024, n. 203 (Collegato Lavoro)
- D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525 (Elenco attività stagionali)
